Quello appena concluso è stato un fine settimana particolare, un ragazzo con cui ho lavorato qualche anno fa e con cui ho mantenuto un rapporto di profonda stima e affetto ha perso la sua battaglia contro il cancro, ha trovato pace dopo mesi di sofferenze, è morto. Ciao Nicola, ti ricorderò sempre come caposervizio al mio matrimonio e per la naturalezza con cui prendesti Maia in braccio, oltre che per quella naturale simpatia che ispiravi fin da subito, un abbraccio forte a te e alla tua bellissima famiglia, una di quelle che non ha bisogno di farsi le foto coi sorrisi finti perché bella e solida “dentro”.
Le questioni legate alla morte sono, purtroppo, all’ ordine del giorno nella mia vita, mi sono a lungo interrogato su perché e percome, in merito posso solo dire che esistono emozioni con cui è bene convivere, è meglio farsela amica la morte, perché come nemica è assolutamente invincibile.
La cultura occidentale probabilmente non è compatibile con la morte, credo anzi che a forza di parlarne in tv e sui giornali si sia approdati ad una preoccupante indifferenza, forse un tentativo di esorcizzare la cosa, certamente un indice dei valori che vanno oggi per la maggiore ed ecco spiegato uno dei (tanti) motivi che mi hanno portato a spegnere la TV.
Vi sono culture in cui la morte più che essere vissuta viene semplicemente accettata oltre che rispettata, la nostra no, la nostra “cultura” punta a farne una notizia che dev’ essere continuamente rimpiazzata, dimenticandosi di quello che realmente significa morire, precipitandoci nella tragedia quando poi ci troviamo ad averci a che fare.
Si dirà che esistono morti e morti, la fine della vita di un anziano è probabilmente diversa da quella di un giovane (Nicola aveva 32 anni), ma conosco persone che hanno lasciato nella disperazione più profonda i propri figli, ogniuno ha la sua storia e i suoi perché, ragion per cui mi guardo bene da chi affronta in questi termini un argomento così complesso, sta di fatto che prima si accetta e si comprende questo inevitabile aspetto della nostra vita e meglio è.
Si ma come si accetta la morte? Di un amico, di un genitore, di un fratello o di un figlio? La verità è che io non lo so, l’ unica certezza è che non ci sono certezze, ognuno è solo con se stesso e ognuno trova la propria ricetta i cui ingredienti possono essere la compassione prima di tutto, empatia, rispetto, fede, accettazione solo per dirne alcuni e certamente tanto tempo, prendere atto della morte infatti non può e non dev’ essere un esercizio con una scadenza.
L’ accettazione di un lutto ovviamente non significa farci l’ abitudine, un vecchio adagio giornalistico recita: “Un morto è una tragedia, 1000 morti sono una statistica”, io giornalista (con tutto il rispetto) non lo sono e 1000 morti sono e saranno sempre 1000 tragedie e alle tragedie è impossibile abituarsi.
Dopo la morte di Maia ho provato una disperazione tale da pensare di essere vaccinato al dolore, in questo fine settimana, come già in altre occasioni, ho capito non essere così, forse la mia mente ha imparato delle scorciatoie o forse riesco ad essere più lucido, non so.
Col tempo il dolore più puro, quello lacerante e che ti piega in due è mutato, è un componente della nostra famiglia con cui abbiamo imparato a convivere, senza dimenticare, perché dimenticare sarebbe un errore, per il resto so solo che esistono risposte troppo grandi per la mente umana e quindi tanto vale farsi un’ amica in più.