Regalo di Natale

l' abilità

Probabilmente le prime parole che vengono in mente a proposito del natale sono festa, vacanze, er panetone, come direbbe un mio amico di Roma, se poi il natale è visto da un padre, ci sono buone possibilità che la prima parola sia regali, spesso e volentieri una montagna di regali, niente da dire, non sarà certo un perfetto prototipo figlio del consumismo anni ’80 a far la predica a chicchessia, ma ci sono persone per cui il Natale è un giorno come gli altri e non per cattiveria o anticonformismo ma perché effettivamente è un giorno come tutti gli altri. La storia che racconto oggi è la storia di un regalo di Natale ma è anche la storia di un gruppo di persone che aiuta, che si da da fare, praticamente, concretamente, questo gruppo di persone si chiama l’ abilità (www.labilita.org),ci siamo conosciuti di recente e spero di realizzare una collaborazione, nel frattempo vi regalo questa storia e l’ opportunità di aiutare come volete e con quello che potete, pubblicità, passaparola o un contributo, la testimonianza che pubblico è tale quale a come mi è stata recapitata, mi piacerebbe fosse utile all’ associazione e a tutta la comunità, da cui spesso prendiamo e che a volte penso sia giusto dare.

“La storia con Tommaso è partita molto tempo prima che lo conoscessimo, da quando cioè avevamo deciso di intraprendere la strada dell’adozione, che si è rivelato un periodo ben più lungo di una semplice gravidanza: la richiesta al tribunale dei minori per l’adozione internazionale, i corsi, le psicologhe, il colloquio con il giudice, il contatto con l’associazione scelta e infine l’abbinamento.

L’abbinamento con questo bambino che nell’unica foto a nostra disposizione pareva un bambolotto, di quelli che si trovavano sui letti delle nostre vecchie zie, oltremodo paffuto, alla faccia di tutte le storie sulla malnutrizione nei paesi in via di sviluppo.

Ci siamo incontrati per la prima volta in un orfanotrofio non lontano da Saigon, dove Tommaso si trovava e ancora si chiamava solo Hieu.

La corsa verso di noi, un sorriso, la certezza che adesso, finalmente, eravamo una famiglia e che al suo nome potevamo aggiungere quello di Tommaso.

Dopo un’attesa di anni, finalmente eravamo insieme, eravamo felici e tutto pareva filare liscio: bellissimo, un appetito fenomenale, un carattere allegro, un abbandono immediato nelle nostre braccia, come se anche per lui fosse terminata la lunga attesa prima dell’incontro coi suoi genitori.

Parlava persino, ci pareva, qualche parola nella sua lingua, che in tre settimane di permanenza in Vietnam non avevamo certo fatto in tempo a fare nostra, ma si sa, un genitore istintivamente pensa che suo figlio contenga in sé germi di genialità.

Poi, poco tempo dopo, a cavallo del Natale e del capodanno del nuovo millennio, il primo campanello di allarme: una febbre, causata da un banale mal di gola, che si installa a 40° e non ne vuol sapere di scendere: la nostra ansia, il ricovero in ospedale, il primo dei sei nel suo primo anno, perché quella febbre ha dato la stura all’epilessia, l’epilessia a chissà cosa e noi non sapevamo più da che parte farci.

Perché qualcosa è accaduto: non parla più, non guarda più negli occhi, sembra aver dimenticato tutte quelle piccole e grandi cose che aveva appreso.

Da qui alla diagnosi fanno in tempo a passare due anni e più, in cui nessuno pare volersi prendere la responsabilità di comunicare una diagnosi o almeno di indicare una strada da percorrere, se la indicano si trova in capo al mondo e dove le incomprensioni aumentano progressivamente: i progressi stentano, le stereotipie aumentano, un fiume in piena che travolge tutto e tutti e noi continuiamo a brancolare nel buio.

Nel quale restiamo per mesi, che poi diventano anni, costellati da strade che cerchiamo di imboccare, spesso sbagliate, come il periodo della terapia mamma-bambino, sancito infine come inutile, credo appena poco prima che qualcuno pronunciasse un classico dell’autismo, “la teoria della mamma frigorifero”, fin quasi alle elementari, quando bisogna prendere delle decisioni, perché Tommaso si comporta come se gli altri bambini non esistessero e perché forse la realtà va accettata per quello che è.

In una delle peregrinazioni alla UONPIA di riferimento, quegli acronimi che ogni volta mi devono spiegare cosa significano, la funzionaria ci indica un pieghevole su una mensola: c’è un’associazione che si occupa di far giocare i bambini disabili.

Giocare pare facile, anche inutile. Tommaso avrebbe bisogno di altro, pensiamo, e anche noi.

Poi, però, ci andiamo.

E dal primo incontro con l’Abilità, forse la vita sua e nostra non è cambiata, nel senso che Tommaso rimane autistico, ma incontrare qualcuno di competente, che sa dove mettere le mani, ascoltarti, consigliarti, quindi andare ben oltre il gioco, ha di sicuro portato sollievo e ha aiutato noi a incanalare le forze nella direzione giusta.

Addirittura si sono occupati di noi genitori: perché a forza di essere focalizzati sui figli, si perde di vista tutto il resto, compreso il proprio equilibrio mentale, del genitore affranto, deluso nelle sue aspettative, talvolta spaventato dai suoi stessi pensieri, rancoroso nei confronti degli altri, soprattutto con quelli coi figli normali, quelli che al parco squadrano lui e il figlio di sghimbescio, con sospetto, non lo evitano, ma neppure si fanno delle domande, perché tanto non è affare loro.

Perché è un caso, se hai a che fare con l’autismo, è tutto un caso.

Se fa una cosa o non la fa; se la fa, ma non la ripete; se non l’ha mai fatta e un giorno riesce a farla e soprattutto se tu capisci cosa gli gira davvero per la testa oppure no.

Parlo di calzare le scarpe, ascoltarti, avvertirti se gli scappa la pipì, se ha voglia di uscire…

Perchè ognuno di loro è diverso: parla, non parla, comunica, non comunica, ti guarda, non ti guarda e sì, talvolta si annoia pure; a uno fa bene quella terapia, ad un altro la stessa terapia non procura neppure il solletico…..

E’come sparare ogni volta nel mucchio: qualche volta trovi il bersaglio, qualche volta no, ma è meglio frequentare un poligono di tiro, così, almeno, ti tieni in allenamento.”

Buon Natale da Papoluca e www.labilita.org

2 thoughts on “Regalo di Natale

  1. Solo un GRAZIE per aver dato voce al papa’ di Tommaso. Quindi a Tommaso, che parla, chiede, risponde, attraverso di noi. Il Natale e’ anche questo. La mamma.

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